[La Rue de Russie, Nice 2009]
Nata a Seoul, cresciuta in Belgio, Yun Sun Limet vive da circa dieci anni a Parigi, dove collabora con diverse case editrici e partecipa all’organizzazione delle attività culturali promosse da «remue.net», una sorta di equivalente francese della nostra «Nazione Indiana». Eccezion fatta per la recente realizzazione di un manuale di teoria della letteratura ad uso degli studenti delle scuole medie superiori, la sua produzione alterna saggi di carattere storico- filosofico a contributi di altro genere, tesi ad argomentare il valore della divulgazione scientifica in contesti estranei al mondo dell’università e della ricerca.
Ormai da qualche tempo – e forse in virtù della popolarità acquisita attraverso le sempre più frequenti incursioni radiofoniche – la scrittura creativa rappresenta un altro importante laboratorio di riflessione, nel percorso atipico di questa giovane studiosa, impaziente di poter contare sulla presenza di un pubblico eterogeneo, con cui instaurare un dialogo agile e non mediato. In aggiunta ad un discreto numero di racconti, perlopiù disponibili online, Yun Sun Limet ha all’attivo due romanzi e «un’autobiografia per conto di terzi». Diffusa con il titolo 1993, quest’ultima rappresenta senza dubbio la sua pubblicazione più significativa.
Articolata in una successione di quaderni, contrassegnati ciascuno da un colore distinto, la vicenda che ne fa l’oggetto prende le mosse dalle disavventure di una ragazza madre, costretta ad accettare impieghi precari e poco gratificanti, pur di assicurarsi quel tanto che basti a mangiare e pagare l’affitto, senza dover, ancora una volta, scendere a compromessi con gli assistenti sociali. Se della donna non sappiamo altro che quanto annotato giornalmente sulle pagine ruvide dei libriccini monocromi, lo stesso non si può dire del vissuto di Pierre Bérégovoy, esponente del partito socialista, eletto capo del governo durante il secondo settennato del presidente Mitterrand. Anch’egli di origine ucraina, come l’io narrante di questa cronaca – crudele perché, dopotutto, piuttosto ordinaria – Bérégovoy fornisce il pretesto per un controcampo indispensabile al resoconto di una vita, altrimenti svuotata di senso.
Così, quando le frasi appuntate di corsa non riescono a contenere il silenzio delle cose intorno, di fronte al lento consumarsi di un dramma individuale, ecco affiorare, sotto forma di interferenza, le parole di un altro racconto: quello di un uomo che ha saputo fare della politica l’unica vera «educazione sentimentale». Evidenziate da un espediente di carattere tipografico, le lunghe citazioni di questa «storia nella storia» si giustificano, sul piano della diegesi, per almeno due ragioni: da un lato, si suppone che tali inserti corrispondano ad altrettante letture, svolte dalla protagonista nei rari momenti di tempo libero; dall’altro, è come se i paragrafi dedicati ai trascorsi privati di un personaggio pubblico potessero reificare – per giustapposizione e analogamente a quanto accade in certe trasmissioni televisive – un passato che è quello di tutti, perché sembra ancora non appartenere a nessuno.
Ed è proprio su tale ambiguità che insistono le frequenti variazioni del punto di vista, oltre che l’inevitabile alternanza della prima e della terza persona, nei paragrafi più manifestamente documentari: laddove ci si aspetterebbe un qualche motivo di risoluzione, volto a esplicitare le ragioni dell’intreccio, elementi contestuali di differente ordine e grado paiono ribadire l’impossibilità di ogni eventuale chiarimento. Quasi a voler affermare – ed è questo il valore dell’intera operazione, coraggiosamente estranea a qualsiasi retorica di circostanza – che «non c’è scampo»; che, per quanto le traiettorie esistenziali di ciascuno, poco importa chi, rischino a volte di doversi confondere, nei fatti, non possono altro che rivendicare la propria singolarità. Dialogare all’infinito, senza incontrarsi mai.
Lascia un commento